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Buchi

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BUCHI

Si era sempre rammaricato di non abitare un paese in cui si fossero conservati i ruderi di qualche castello. Tanti centri della sua regione vantavano la presenza di mura, di maschi e di bastioni. Rovine prone al vento e alla pioggia ma orgogliosamente vive. Nel suo, invece, i segni delle fortificazioni, che pure erano state erette in epoca medievale, si potevano cogliere soltanto nelle cronache del tempo o nei libri degli storici. E dire che i conti di Cunio e gli Estensi avevano dotato la cittadina di una torre, di una rocca a pianta quadrata e di una cinta muraria con il suo fossato, ma nulla era rimasto. Anche altre vestigia erano state abbattute nel corso degli anni.
Fosse rimasta almeno la ciminiera della vecchia fornace, simbolo architettonico della Rivoluzione industriale, dello sviluppo di inizio Novecento: l'alto cilindro cavo in mattoni rossi ricordava l’era del vapore, ne rappresentava il segno di potenza come le torri nel Medioevo.
La diffusione dell’energia elettrica aveva determinato l’abbandono e poi l’abbattimento del camino fumante che non era stato annoverato tra i beni archeologici da salvaguardare.
Connesse all’attività della fornace, in cui, un tempo, le macchine producevano autonomamente l’energia mentre la ciminiera scaricava in alto i fumi per ridurre i danni dell’inquinamento, erano rimaste le cave. Le cave di estrazione dell’argilla, trasportata con le carriole, erano ciò che rimaneva.
Le cave, da tanti anni ormai, erano dei buchi aridi, asciutti, dove si depositavano ben pochi centimetri di acqua perché era subentrata una stagione siccitosa che faceva rassomigliare al deserto l'intero paesaggio, ogni anno più del precedente.
Buchi. La sua casa, costruita sotto l’argine di un canale di scolo, in cui ora s’intravvedeva un rivolo, stretto stretto, distava una manciata di metri da quei buchi polverosi e desolati.
La sua casa era moderna. Il padre l’aveva progettata ispirandosi al funzionalismo organico di Wright, avendo sposato l’idea che l’opera architettonica deve adeguarsi al paesaggio naturale. Perciò, non aveva accolto i consigli di chi lo invitava a modificare l’altimetria del terreno, su cui costruire l’edificio, utilizzando cumuli di argilla per creare un utile dislivello. Il genitore aveva respinto la prospettiva di veder sorgere su una collinetta la propria abitazione che voleva, invece, adagiata sul piano naturale; perciò, si era limitato a far erigere un basso scantinato sotto lo spazio abitabile.
Poi, i cambiamenti climatici avevano fatto sì che in tutti si sopisse la memoria delle copiose piogge di un tempo e ci si orientasse, invece, a risolvere i problemi determinati dalla siccità e perciò dal bisogno di irrigare.
A volte, lui si sorprendeva a pensare come tutto fosse in evoluzione e come molto di quello che, in precedenza, era stato considerato utile, meravigliosa invenzione o scoperta, fosse destinato a essere dismesso e abbandonato, o al più a divenire un bene da museo o testimonianza del passato, semplicemente da ammirare come le rocche e i castelli.
Inaspettatamente, in quelle notti di maggio uno scrosciare pesante, rumoroso e insistente fece pensare che la pioggia tanto attesa sarebbe diventata nefasta.
Lui, agitato nel letto, tese l’orecchio percependo l’acqua che cadeva sulle tegole con lo stesso fragore di una serie infinita di secchiate. Si rigirò più volte sotto le lenzuola, impaziente del giorno.
Alle prime luci dell’alba si avvicinò alla finestra che dava sui campi e li vide allagati. Guardò verso il giardino e intravvide delle pozze.
Decise di portare l'automobile nella parte più alta, un’area di sosta della strada costeggiata da cordoli e parapetti, e di trasferire le cose preziose, conservate in garage, nello studio del padre posto al piano rialzato.
L’acqua continuava a salire in seguito all’esondazione dei due fiumi nelle vicinanze e alla piena dei fossi e dei canali: i venti centimetri, registrati in un primo momento nello scantinato, diventarono trenta, poi quaranta, poi cinquanta, poi …
Dai paesi vicini si apprendevano sconfortanti notizie di allagamento di strade, di pianterreni e di primi piani in cui i mobili galleggiavano nel liquido torbido.
Lui temeva per i mobili antichi, autentici e di pregio, con cui il padre aveva arredato rigorosamente gli interni dell’abitazione ispirata all’architettura funzionalista, ora attorniata da una laguna dentro la quale ci si poteva calare solo con gli stivali alla coscia. Rabbrividì pensando all’infelicità del luogo in cui era stata edificata la casa che non aveva la missione eroica dell’arca di Noè, ma faceva presagire il triste, delittuoso danneggiamento di oggetti preziosi.
S’incupì, tremò. Guardò la fila dei santini, posti sul credenzone antico, autentico, davanti ai quali la madre, quando era in vita, si inginocchiava formulando richieste di grazie. Lui non aveva mai osato rimuoverli. Si fece il segno della croce. Concepì una vaga preghiera.
Per tutto il giorno andò avanti e indietro nelle stanze della casa, convinto del peggio.
E, invece, l’acqua si arrestò. Non giunse a lambire il piano abitabile e anzi si abbassò. Nel giro di poche ore lui poté uscire con gli stivali al ginocchio e procedere a una perlustrazione.
La fiumana oltre l’argine era al livello della strada, ma scorreva. I campi erano inondati ma l’acqua, soprattutto intorno alla casa, si era mantenuta a un livello relativamente basso. Si chiese il perché, dato che tutti i fiumi e canali avevano tracimato e quella era una zona nevralgica: continuò a interpellarsi, finché non capì.
I buchi. I buchi che si erano riempiti d’acqua trasformandosi in piccoli laghi, i buchi, le vecchie cave, avevano protetto la casa...
Se non fosse stato per quei buchi, disseminati nel territorio, tristi scavi abbandonati, divenuti invasi, si sarebbe trovato… no, non osava nemmeno pensarci.

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